Spezza la catena

 

One of these mornings
The chain is gonna break
But up until the day
I’m gonna take all I can take

Intrappolata.
Invischiata.
Incatenata.
Racconti a te stessa che questa è una tua scelta.
Racconti a te stessa di avere tu il potere.
Magari ti dai anche un tono.
Cerchi di essere forte, determinata, presente a te stessa.
Ma certi giochi, ragazza, non li vinci.
Non li vinci perché l’altro giocatore non sta affatto giocando. Sta barando. O forse sta seguendo regole radicalmente diverse dalle tue.
Ti illudi che restare sia una tua scelta, ma sei caduta in una rete più grande di te.
Ti illudi di poter ottenere ciò che brami, di poter vincere, o almeno di giocare ad armi pari.
E invece stai solo barattando tempo ed energie per due briciole secche e muffose.
E ti sembra di ottenere tanto, oh sì.
E ti dici ma sì, ti dici la vita è una.
E dall’altra parte del tavolo da gioco c’è qualcuno che non vuoi perdere, a cui non vuoi rinunciare.
E allora resti, ti umili senza accorgertene, scendi a compromessi, sacrifichi anche le tue carte migliori, all’occorrenza bluffi. Metti su la migliore delle tue poker faces, e lo fai pure con te stessa.
E mai, mai la tua mente è sfiorata dall’unico dubbio, dall’unica domanda che dovrebbe porsi…
Quali parti di te stai buttando via, per quelle briciole?
Cosa stai perdendo?
A cosa stai rinunciando?
E, quando finalmente la catena si spezzerà, piccola mia, ti troverai di nuovo con il cuore a pezzi, circondata dalle macerie polverose di ciò che un tempo non molto lontano era il tuo amor proprio, la tua mente brillante, il tuo spirito indomito… di ciò che un tempo eri tu.

Anni orsono

Circa sette anni e mezzo orsono vagavo incerta nell’atrio della stazione di Genova, con questa canzone nelle orecchie.

Nella mia testa, questa canzone parlava di me e te.
Eppure, in quella fredda mattina di febbraio, nelle mie orecchie c’eri tu ma i miei occhi cercavano un altro uomo.
Da ormai tre mesi, nel mio cuore c’eri ancora tu, c’eri sempre e solo tu, e ogni giorno cercavo un modo per strapparti via dalle sue pareti che continuavi, come un’edera malefica, a soffocare col vivido ricordo di te. Più precisamente, cercavo un’altra passione altrettanto intensa e piena con cui sostituire quella che avevo per te.

 

Mi è bastata una fugace ma intensa avventura con lui per costruire il mio castello in aria.
Il mio piano era perfetto: sostituire il dolore per averti perso con un’altra tensione, altro dolore, ma più contenuto. Sostituire i tuoi occhi scuri così simili ai miei con un altro paio di occhi chiari e molto differenti. E, intanto, ricominciare a vivere, a mangiare, a bere, a fumare, a respirare.
Sono stati mesi felici; non spensierati, ma pieni di speranza. Per la prima volta dopo anni, pensavo di avere una speranza di essere felice in quanto me.
E poi, c’erano sempre quei due occhi chiari a cui potevo appoggiarmi…

 

Poco più di sette anni orsono, sei rientrato di prepotenza nella mia vita, buttando all’aria il mio piano così ben congegnato, e senza processo lo hai condannato e hai condannando me, col tuo paradossale rigore morale che ancora oggi fatico a comprendere.
Non posso dire di non esserne stata felice.
Non posso dire che non ti amassi ancora.
Non posso dire che non abbiamo avuto altri giorni felici insieme.
Eppure, mi sono sentita di nuovo in prigione.
Mi sono sentita un piccolo pezzetto di metallo, tanto brillante e forte, che davanti a una calamita non può fare altro se non farsi trascinare.
Mi sono sentita al guinzaglio.
Mi sono sentita debole.

 

Quattro anni e mezzo orsono, quel guinzaglio tu lo avevi fatto cadere per terra e te n’eri andato.
Ho provato a seguirti per un po’.
Ho provato a parlarti, a spiegarti come mi sentivo.
Ho provato a mettere sul tavolo le carte che ancora avevo.
Ma tu, ormai, avevi mescolato il mazzo e lo avevi riposto nella sua scatola.
Ti eri dimenticato però di togliermi il guinzaglio.
E così, l’ho dovuto fare da sola.

 

E così, finalmente, ho smesso di farmi scegliere.
E ho iniziato a scegliere me.

Il peso della mia armatura

C’è chi para davanti a sé uno scudo per proteggersi dal mondo. Chi innalza un muro per isolarsi. Chi indossa una maschera per nascondersi. Io ho scelto di unire tutte queste cose indossando un’armatura.

È un’armatura molto pesante, sembra fatta di piombo; eppure è fatta di carne. Pesa quasi 50 kg. Portarla sempre addosso è una fatica immane, quindi a volte porto solo il pezzo di sotto, altre solo quello di sopra, altre solo l’elmo, e così via.

Ed è così che vivo la mia vita in modo sbilanciato.

 

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Feelings are blue.

Oggi pomeriggio il cielo è talmente bello, talmente blu e talmente grande da far quasi venire le lacrime agli occhi. Soffici nuvole bianche migrano lentamente, e il loro candore rende quel blu ancora più penetrante. Le nuvole più in basso vanno verso ovest, quelle più in alto vanno verso est.

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And every skyline was like a kiss upon the lips…

Io, invece, non vado da nessuna parte. Non oggi. Oggi io sono qui nel mio giardino, sul mio lettino a dondolo, a godermi la brezza di un pomeriggio di Luglio come tanti altri, e a guardare questo cielo così grande, così blu e così bello da far quasi venire le lacrime agli occhi.

Quando d’estate andavo in vacanza nella casa al mare di famiglia, la sera mi sdraiavo sul terrazzo e stavo ore e ore a guardare le nuvole passare, il tempo cambiare, il cielo ricoprirsi e divenire bianco e grigio e poi di nuovo blu. Continua a leggere “Feelings are blue.”