Il peso della mia armatura

C’è chi para davanti a sé uno scudo per proteggersi dal mondo. Chi innalza un muro per isolarsi. Chi indossa una maschera per nascondersi. Io ho scelto di unire tutte queste cose indossando un’armatura.

È un’armatura molto pesante, sembra fatta di piombo; eppure è fatta di carne. Pesa quasi 50 kg. Portarla sempre addosso è una fatica immane, quindi a volte porto solo il pezzo di sotto, altre solo quello di sopra, altre solo l’elmo, e così via.

Ed è così che vivo la mia vita in modo sbilanciato.

 

Vorrei proteggermi e isolarmi da un mondo di cui ho profondamente bisogno. E quando, sfinita, mi sfilo una parte di armatura, ecco che il fiume, prima trattenuto da una solida diga, esonda, e mi butto in un rapporto umano, sempre con abbondante fervore, sempre dando troppo.

Sono una persona sovrabbondante, in tutto.

Ma non posso stare troppo tempo senza armatura, e così, dopo poco tempo, copro nuovamente di brillante e solido metallo ciò che prima avevo esposto. E di nuovo mi chiudo, sospetto delle persone, smetto di dare, me la prendo, mi allontano.

Adesso, dopo anni e anni in cui ho giocato a questo gioco, sono diventata forte abbastanza da indossarla sempre, quella dannata armatura. E così, mi sto chiudendo. Non ho più quei momenti di improvvisa e spesso immotivata apertura. Non mi fido più delle persone che incontro sul mio cammino. Mi relaziono con loro facendo uscire me stessa con il contagocce. E al primo segnale, vero o anche presunto, di disinteresse, chiudo del tutto il rubinetto.

Esistono, certo, delle persone a cui dico tutto ciò che penso senza paura, senza temere che non interessi, né di generare sentimenti negativi o ancora di essere giudicata. Sono due. Una è la mia migliore amica, l’altra è la mia psicologa.

Non è che io voglia dire tutto a tutti così, a caso. Assolutamente no. A volte, però, vorrei semplicemente riuscire a rapportarmi in modo normale con alcune persone che reputo umanamente interessanti. Parlare in tranquillità, aprire il rubinetto con un flusso di acqua normale, né gocciolante né tumultuoso. Eventualmente aggiustare il tiro. Aprirlo un pochino di più per ogni grado di confidenza raggiunto. Scoprirsi piano piano. E invece, il mio rubinetto rimane sempre gocciolante. E ogni piccolo gesto, ogni rifiuto (anche ampiamente giustificato), ogni silenzio, ogni assenza, ogni domanda non posta da parte di queste persone non fa che diminuire la frequenza di queste gocce, fino a chiudere del tutto il rubinetto, stringendolo così bene che alla fine serviranno una chiave inglese, una pinza e parecchio olio di gomito per riaprirlo. Mi sono bruciata così tante volte che adesso, se vedo il fuoco, fuggo, come un animale selvatico.

Ecco cosa sono: un animale selvatico. Lo sono sempre stata, ma ora la cosa ha assunto livelli mai visti prima. Sono un animale sensibilissimo e gerarchico. Non come gli umani, ma come i lupi. Pretendo intelligenza, socialità e soprattutto sensibilità nelle persone a cui permetto di starmi vicino.

 

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Apriamo un capitolo a parte per parlare dei miei rapporti sentimentali o pseudo-tali con l’altro sesso. Lo apriamo e lo chiudiamo subito, perché tali rapporti, semplicemente, non esistono da diversi anni. Come nell’ambito dell’amicizia, anche in quello dell’amore e delle relazioni sessuali sono stata ferita, oppure ho commesso degli errori o portato avanti forzatamente delle esperienze che non facevano per me e che mi hanno lasciato dei brutti segni. Ci sono poi da tenere in conto altri fattori, quali l’insicurezza per il mio aspetto e per il mio peso, la mia autostima inesistente e via dicendo. E così, quali che siano i motivi, mi sono ritrovata, senza nemmeno sapere bene come, a indossare una tripla armatura di piombo con l’altro sesso.

Io, creatura fatta di sentimenti, me li sono ricacciati dentro. Se provavo a farli uscire, rimbalzavano sulle pareti interne dell’armatura, e con notevole forza propulsiva mi si ricacciavano giù per la gola, dentro il petto, nella pancia.

Mi sono rifugiata in qualche amore immaginario. Mi sono innamorata di un uomo reale e tremendamente sbagliato senza avere il coraggio di dirlo né al diretto interessato né ad altre persone se non una manciata (con qualche pentimento); il tutto perché avevo paura di soffrire.

Come se non avessi sofferto comunque.

Come se non ne fossi uscita distrutta, a pezzi, devastata, piangente, disperata.

Per la prima volta dopo più di quattro anni ho provato di nuovo dei sentimenti, e mi hanno di nuovo portata a un dolore infinito, a un senso di schifo verso me stessa, a dare tantissimo: il mio affetto, la mia comprensione, la mia capacità di ascolto, la mia casa, il mio tempo, le mie lacrime, il mio silenzio a una persona che non meritava nulla.

E la cosa peggiore è che lo rifarei.

Perchè ho un fottutissimo bisogno di togliermi quella particolare armatura in triplo piombo, osmio e titanio.

E invece rimango qui, dentro la mia armatura, così grande da essere diventata una stanza e poi un intero mondo, e continuo a rifugiarmi negli amori immaginari, nelle passioni da brivido dei sogni notturni; e, se mi accadrà di nuovo di provare sentimenti per qualcuno di reale, mi rifugerò nella finta amicizia, nei favori, nella comprensione, nell’affetto, e nel silenzio e nell’introspezione in cui caccerò giù tutti i miei sentimenti, perché un rifiuto non penso lo potrei sopportare…

ma forse

solo forse

quello che potrei sopportare di meno è

pensare

che sarebbe per forza sempre un no

pensare

di dovermi nascondere sempre

di non avere il diritto

di confessare un sentimento

di non meritare niente

di non essere fatta per amare

di non essere fatta

soprattutto

per essere amata

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