Buonasera e buon venerdì


Buongiorno, caro blog.
Buongiorno e buon lunedì.
Ma è lunedì?
Sì, è lunedi.
Per saperlo ho dovuto verificare (più volte, effettuando controlli incrociati tra calendario e cellulare).
Qualche giorno fa ci eravamo illusi, io e i miei colleghi, di poter riaprire oggi le porte del centro cinofilo e riprendere, almeno in parte, a lavorare. L’illusione è durata meno di 24 ore, ma i suoi effetti perdurano ancora…

Per una persona come me (di certo per tutti, ma forse un po’ di più per chi è come me) non è affatto semplice vivere in questo stato di inattività, attesa, sospensione. Mi sembra di trovarmi in una dimensione irreale, fuori dal tempo. Senza una struttura che scandisca minimamente le mie giornate, esse trascorrono tutte uguali, lente e oziose; sembrano interminabili, eppure mi scivolano tra le mani.
La vita di prima mi sembra sia terminata ieri, eppure mi sento anche come se fossero passati almeno otto anni.
La vita che verrà dopo è un punto interrogativo: a volte mi dico suvvia, tra una settimana, al massimo fra due o tre, cosa vuoi che sia, questi giorni passeranno e non te ne accorgerai nemmeno; altre mi dico che non finirà mai, ma non perché io pensi che questa oggettiva situazione di lockdown possa durare in eterno, bensì piuttosto per la peculiarità quasi esotica che la dimensione temporale ha ormai assunto.
Il tempo per fare, il tempo per pensare, il tempo per riposare, il tempo per mangiare, che in un indefinito prima si stagliavano su una rassicurante e familiare linea unidirezionale e unidimensionale, si sono ora attorcigliati su loro stessi, in un caotico gomitolo a 2, 5, 10, 26 dimensioni, e di quel familiare, lineare ordine resta solo una sorta di ombra, una stupida eco che risuona nel ticchettio beffardo e vagamente idiota dell’orologio della mia cucina.

 

Spezza la catena

 

One of these mornings
The chain is gonna break
But up until the day
I’m gonna take all I can take

Intrappolata.
Invischiata.
Incatenata.
Racconti a te stessa che questa è una tua scelta.
Racconti a te stessa di avere tu il potere.
Magari ti dai anche un tono.
Cerchi di essere forte, determinata, presente a te stessa.
Ma certi giochi, ragazza, non li vinci.
Non li vinci perché l’altro giocatore non sta affatto giocando. Sta barando. O forse sta seguendo regole radicalmente diverse dalle tue.
Ti illudi che restare sia una tua scelta, ma sei caduta in una rete più grande di te.
Ti illudi di poter ottenere ciò che brami, di poter vincere, o almeno di giocare ad armi pari.
E invece stai solo barattando tempo ed energie per due briciole secche e muffose.
E ti sembra di ottenere tanto, oh sì.
E ti dici ma sì, ti dici la vita è una.
E dall’altra parte del tavolo da gioco c’è qualcuno che non vuoi perdere, a cui non vuoi rinunciare.
E allora resti, ti umili senza accorgertene, scendi a compromessi, sacrifichi anche le tue carte migliori, all’occorrenza bluffi. Metti su la migliore delle tue poker faces, e lo fai pure con te stessa.
E mai, mai la tua mente è sfiorata dall’unico dubbio, dall’unica domanda che dovrebbe porsi…
Quali parti di te stai buttando via, per quelle briciole?
Cosa stai perdendo?
A cosa stai rinunciando?
E, quando finalmente la catena si spezzerà, piccola mia, ti troverai di nuovo con il cuore a pezzi, circondata dalle macerie polverose di ciò che un tempo non molto lontano era il tuo amor proprio, la tua mente brillante, il tuo spirito indomito… di ciò che un tempo eri tu.

I am not alone in this body

 

L’empatia è senza dubbio una delle mie caratteristiche fondanti. Da quando sono diventata la persona che sono (da quando cioè ho abbandonato i personaggi costruiti ad arte per ritagliarmi un ruolo all’interno delle aspettative altrui), l’empatia ha iniziato a condizionare sempre di più la mia vita e il mio modo di pormi nei confronti del mondo. Tuttavia, ciò non accade sempre allo stesso livello di profondità e di intensità. Dipende principalmente dal periodo che sto attraversando e dalle persone con cui mi sto rapportando.

Ci sono delle fasi molto particolari della mia esistenza in cui riuscirei a empatizzare anche con una foglia… in questi periodi, la pelle è sottile, il cuore è spalancato e senza difese. Passare troppo tempo in mezzo alle persone mi sfinisce, e sono costretta a isolarmi nella folla (col rischio di apparire sociopatica) e a limitare i contesti con molte persone; in casi particolari, persino la frequentazione delle poche Amiche con cui divido il cammino (con un’unica eccezione).

Poi c’è il fattore persone. Ovviamente la sofferenza o rabbia o gioia di una persona che mi è cara risulta facilmente contagiosa. Uno dei modi in cui capisco che mi sto affezionando sul serio a una persona è proprio constatare quanto io inizi a prendere sul personale le sue emozioni. Quanto mi immedesimi. Nel bene e nel male, in qualche modo le vite degli altri diventano mie, i loro cuori diventano il mio e i battiti si sovrappongono, e io non sono più io, o non del tutto, per una certa quantità di tempo, che a volte si estende fino a farmi interrogare su chi sia io, alla fin fine…

Ho un rapporto di odi et amo con l’empatia.
La amo perché crea legami, mi connette con le persone, mi rende un’amica e un’umana migliore, mi spinge all’azione (nel senso molto egoistico che tale azione, avendo conseguenze positive sugli altri, finisce per averle anche su di me).
A volte la odio: quando mi colpisce a tradimento, quando raggiunge picchi di intensità tali da rasentare il dolore fisico, quando l’immedesimazione nell’altrui dolore è così totale da impedirmi di concentrarmi sulla mia vita, quando l’immedesimazione nelle altrui gioia ed emozioni fondanti è così totalizzante da impedirmi, in quella rapsodia di luci e colori, di mettere a fuoco chi sia io, dove inizi e dove finisca il mio ego, e cosa invece sia fuori di me.
Penso però che, anche nei suoi lati negativi e “scomodi”, l’empatia sia una forma istintuale di saggezza primigenia… ci ricorda, cioè, che in un certo senso, al di sotto di tutto ciò che la ragione può capire, non esiste un io, un tu, una lei, un lui, un loro, ma che siamo tutti collegati, siamo tutti un’unica anima, siamo tutti l’universo, o meglio, parafrasando Carl Sagan, siamo il modo che ha l’universo di esperire e sperimentare e sentire se stesso, un modo imperfetto, travolgente, in movimento, fatto di carne e sangue e ossa e pelle e piume e arti e code, fatto di occhi e cervelli e cuori, fatto di musica e arte e poesia e matematica e filosofia, fatto di grida e sussurri e gemiti e silenzi e respiri, di morte e vita, fatto di pianti e sorrisi, drammatico, cruento, terribile, meraviglioso, assolutamente e totalmente fine a se stesso e alla contemplazione della propria sublime e viva bellezza.

Old Year’s Thanks

Mi sembra quasi impossibile, ma questo 2016 sta giungendo alla sua conclusione; è tempo di inevitabili bilanci, buoni propositi e resoconti.
Io ho optato per un bel post di ringraziamenti, dedicato a tutti coloro che, nel bene o nel male, sono entrati nella mia vita, o passati per essa, o hanno confermato una presenza già consolidata in passato.
Questo post è per voi.
Se vi fischiano le orecchie, è colpa mia.
Se pensate che io stia parlando di voi, probabilmente è così. Ma non sicuramente, eh, non siete il fottuto centro dell’universo.
Comunque, bando alle ciance, iniziamo!

Il primo GRAZIE va ai miei tre cani, presenze costanti, indubitabili, solidissime e insostituibili nella mia esistenza. Sono la mia famiglia, i miei aiutanti nel lavoro, coloro con cui condivido la maggior parte del mio tempo e delle mie attività, tre creature differenti con bisogni e desideri diversi che dipendono esclusivamente da me. Probabilmente non sempre riesco a comprenderli e a dedicarmici quanto loro avrebbero bisogno, tuttavia il loro spirito di adattamento, la loro fiducia nei miei confronti e il loro senso del branco sono tali da passare sopra a ogni mia mancanza, a ogni cambiamento, a ogni rinuncia, con una dedizione verso la vita e verso il presente da cui noi scimmiette a due zampe possiamo solo imparare.

GRAZIE alle mie amiche, vecchie e nuove, perse e ritrovate, vicine e lontane. Grazie per esserci state, ognuna a modo proprio, in questo anno così complesso e ricco della mia vita. La mia gratitudine e la mia gioia nel poter condividere una fetta del mio tempo, delle mie esperienze e delle mie emozioni con voi sono immense. Voglio soprattutto dire grazie a quelle amiche con le quali quest’anno ho avuto delle discussioni, delle incomprensioni, dei litigi, degli allontamenti. Grazie perché mi avete insegnato due lezioni importantissime, di quelle che in teoria fanno parte del senso comune ma in pratica in pochi padroneggiano davvero (io stessa sto appena iniziando): l’arte, l’importanza e la necessità dello spiegare e far valere con le parole i propri sentimenti, i propri punti di vista su se stessi e sul mondo; e inoltre il semplice riconoscimento e la totale accettazione dell’alterità delle persone, delle differenze fra esseri umani, che non devono essere motivo di allontanamento, bensì di crescita, e possono contribuire a cementare un’amicizia o un rapporto umano importante di qualsivoglia tipologia.

Un GRAZIE voglio dirlo anche ad alcune meteore che sono passate nella mia vita e sono andate via. Grazie a chi ha contribuito, con la sua presenza e il tempo condiviso insieme, al mio percorso di crescita come individuo: anche quando i destini si separano, sono dell’idea che ci sia sempre, immancabilmente qualcosa di cui far tesoro. Grazie anche a chi ha preso il mio tempo, lo ha accartocciato, ci ha sputato sopra e poi lo ha gettato dietro di sé distrattamente, come fosse una cartaccia o un fazzoletto usato, dimenticandosi immediatamente della sua esistenza: vi ringrazio con sincerità e di tutto cuore, perché questo vostro svogliato, superficiale, egoistico atto mi ha insegnato il valore del mio tempo, della mia presenza, del mettermi a disposizione, come professionista e come persona e come amica, e questo vostro atto mi ha cambiata, mi ha resa forse ancora più selvatica, ma tutto questo è servito a farmi capire davvero che il mio tempo è mio e mio soltanto, ed è servito a schermarmi dalla compassione e dalla generosità che strabordavano dalla mia persona come acqua melmosa da un fiume in piena, e dedicare queste belle doti alle persone che davvero lo meritano, alle persone che mi danno un valore, alle persone con cui posso avere un equilibrato rapporto di scambio, e soprattutto alla mia persona, che è colei che più di ogni altro al mondo lo merita.

GRAZIE alla mia famiglia. Grazie per esserci, grazie per essere riusciti a trovare dei compromessi con me, figlia ribelle e difficile. Grazie per l’aiuto immenso, pratico e morale, che mi avete sempre dato e che continuate a darmi ogni singolo giorno, con immensi sacrifici e amore. Grazie perché mi accettate per quella che sono, e mi supportate in ciò che voglio fare. Grazie per avermi dato le basi che mi permettono ora di costruire giorno dopo giorno la mia vita e i miei sogni. Senza tutto questo, non sarei mai riuscita ad avere il coraggio e le risorse per seguire la mia strada.

GRAZIE alla Musica. Compagna costante della mia vita, è stata spesso la mia unica valvola di sfogo, l’unica in grado di capirmi, l’unica dentro cui potevo perdermi; una grande Musa a cui devo tantissimo. Il prossimo anno sarà dedicato a lei, e spero di conoscerla e di diventarne figlia come mai è accaduto finora.

GRAZIE a tutte le persone che in qualche modo mi hanno aiutata.
Grazie ai miei clienti per la loro fiducia nel continuare o nell’iniziare ad affidarsi alle mie competenze.
Grazie a chi mi ha fatto un dono inaspettato.
Grazie ai professionisti che mi hanno aiutata, e tuttora mi aiutano, a ricostruire alcuni aspetti della mia vita, mattone dopo mattone.

E, infine, il GRAZIE più grande va a me stessa. Mi ringrazio di tutto cuore per non essermi arresa con me, per aver scommesso su di me, per aver faticato con le unghie e con i denti solo per me, per essermi messa in discussione, per aver intrapreso dei sentieri difficili ma necessari, per aver avuto un coraggio da leonessa, per essere stata fragile come un coniglietto quando necessario, per essermi accettata in tutta la mia imperfezione, per aver lavorato per rendermi migliore, per aver lavorato per iniziare finalmente a stare bene, bene come merito, bene come chiunque al mondo meriterebbe.

Grazie a tutti, ci leggiamo il prossimo anno!

Deutsch Wind

Rieccomi qui, cari miei quattro lettori, a farmi sentire dopo due mesi di silenzio stampa segnati da un’intensa attività lavorativa contrapposta a momenti di letargo, chiusura, riposo, immobilismo che si sono presi ogni mio attimo libero.
Un letargo, che sia reale, metaforico o un’equa commistione di entrambi, è come un sonno: non sterile periodo di buio e oblio, bensì ricco di attività onirica. Mille e mille elementi, luminosi e oscuri, si agitano e ribollono nell’ombra, e nel ribollire capita a volte che qualcosa venga a galla e si palesi. Così è stato per me: alcune cose nascoste nell’oscurità si sono lentamente palesate, hanno assunto una forma primordiale, una grigia sagoma d’ombra, e si sono fatte implacabili inevitabili fantasmi e hanno iniziato ad affollarmi la testa e il cuore.
Per un curioso complotto del Caso, l’apice di questo processo è avvenuto durante la mia breve vacanza tedesca alla fine del mese scorso. Tale esperienza, più precisamente, è stata la ciliegina sulla torta: una combinazione di fattori, un turbinio di elementi che ha tolto la polvere dagli ingranaggi e ha acceso una lampadina, permettendomi di vedere le cose con un po’ più di chiarezza.

Il primo colpo di vento è stato rivedere dopo cinque mesi una cara amica, una sorella, una compagna strega. Tornare a sorseggiare caffè insieme, ma caffè americano (che ho imparato ad apprezzare) invece che espresso. Tornare a mangiare insieme, ma bretzel invece che pizza. Fare shopping insieme, ma da Primark e da Deichmann invece che da Decathlon. Parlare per ore di noi, delle nostre speranze, dei nostri desideri, delle nostre paure, ma sedute a a un gelido tavolino fuori da Starbucks a Stuttgart invece che su una panchina sulla cima di una montagna a San Pancrazio. Certe cose cambiano, ma quelle importanti rimangono le stesse.

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Il secondo colpo di vento è stato un concerto. Riscoprire, forse per la prima volta in modo pieno, una band favolosa che da vent’anni regala al mondo, con britannica eleganza e un pizzico di strafottenza, una scarica di emozione che si trasmette per osmosi. Potevo sentire l’emozione propagarsi nell’aria di quel palazzetto, tra il pubblico tedesco un po’ mogio e indifferente. Più che un Placebo, questo concerto è stata una vera e propria medicina.

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Il terzo colpo di vento è stata la città di Ulm: camminare per le vie della vecchia Ulm arroccata sul Danubio blu che scorre e scorre e scorre modificando lentamente ma inesorabilmente l’aspetto delle case e degli edifici, che sembra quasi vogliano gettarvisi dentro per accompagnarlo nel suo solitario fluire verso il mare del nord; i mercatini di Natale con i loro oggettini, i dolciumi, l’odore del Glühwein, i banchetti che vendono hot dog e altre specialità che diffondono nell’aria un olezzo di carne e unto e fritto così intenso da sembrare rancido, intervallato a tratti da un caldo e confortevole odore di biscotti speziati.
E poi lei.
La Cattedrale.
La C maiuscola è d’obbligo: Ulmer Münster è infatti un duomo gotico grandioso il cui campanile vanta il primato di più alto d’Europa, con i suoi 161,53 metri e la bellezza di 768 gradini.

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Il quarto e ultimo colpo di vento mi ha catapultata nuovamente a casa mia, in Italia. Ho ritrovato tutto come lo avevo lasciato. I miei tre cani sono stati amorevolmente accuditi dai nonni. I miei allievi a quattro zampe mi hanno aspettata pazientemente per ricominciare con le nostre scampagnate nei boschi. Il meteo si è sbizzarrito durante la mia assenza, con tempeste, alluvioni e devastazioni, ma ora è tornato nella norma.
Tutto è rimasto uguale, tutto nella norma.
Tutto tranne me.
Il cambiamento che covava nell’ombra è venuto alla luce, finalmente. Mille nuove avventure mi aspettano, tutte pronte ad essere vissute e a darmi enormi soddisfazioni; a un solo patto, però:
agire.
Risalire la mia personale cattedrale, alta, enorme, spaventosa, protesa verso l’ignoto, protesa verso il divino.
Gradino dopo gradino.
Il primo l’ho già risalito.
Me ne mancano solo 767…

Nothing is real

Oggi pomeriggio sono stata in centro a Torino con la mia amica Stefy. Abbiamo fatto una passeggiata e ci siamo fermate in un paio di negozi e bancarelle dove ho fatto degli acquisti molto interessanti (tra cui due penne stilografiche che mi sussurrano “scrivi, Anda… scrivi…” più di quanto non facciano già i miei due neuroni); lo scopo primario della nostra uscita, però, era visitare la mostra dal titolo “Nothing is real” allestita al MAO e dedicata alle influenze culturali, filosofiche, mistiche e sonore esercitate dall’Oriente (in particolare dall’India) sulla musica dei Beatles in particolare e, più in generale, su tutto quel filone psichedelico sviluppatosi a cavallo tra gli anni ’60 e gli anni ’70. La frase che dà il titolo alla mostra è tratta dalla celebre ed enigmatica canzone “Strawberry fields forever”.

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Ho trovato la mostra interessante, ma un po’ frammentaria. Avrei preferito un allestimento che mi calasse in quel periodo storico e in quel clima, magari coinvolgendo sensi differenti dalla vista. Fragranze orientaleggianti, incensi, luci psichedeliche, un sottofondo musicale. Nulla o quasi di tutto ciò, invece. Più che altro un excursus su alcuni pittoreschi aspetti di una parte della cultura e della controcultura di quegli anni. In ogni caso, piacevole per una persona già interessata e appassionata a musica e cultura del periodo. Mi ha senza dubbio riacceso una fascinazione, sopita da qualche tempo, esercitata da quegli straordinari anni così cruciali per musica e cultura.

Il mio spirito curioso e appassionato mi sussurra spesso all’orecchio che forse sono nata nel decennio sbagliato. O forse nel secolo sbagliato. O nel paese, o nel continente, o sul pianeta sbagliato. Forse nella galassia sbagliata.
Ci sono decenni e secoli e paesi vicini e lontani che mi chiamano per nome. A volte credo di sentirli prendermi per mano e correre via, veloci come solo il tempo inesorabile sa fare, e io dietro di loro.
Un’altra vita, un altro volto allo specchio, altre vesti sul mio corpo, altri gesti dalle mie mani, un’altra lingua nella mia testa e nella mia bocca, altre passioni nel mio cuore, un altro suolo sotto i miei piedi; lo stesso cielo sopra di me, a volte più giovane, altre più vecchio.
Mi piace cullarmi con questi pensieri.
Mi piace pensare di poter volare via in una grande cabina blu.
Mi piace l’idea di fuggire e l’idea di tornare.
Mi piace avere un concetto di casa un po’ più ampio del normale.
Mi piace sognare: preferisco farlo a occhi aperti, perché “living is easy with eyes closed“, e a me le cose facili non hanno mai fatto impazzire…

Feelings are blue.

Oggi pomeriggio il cielo è talmente bello, talmente blu e talmente grande da far quasi venire le lacrime agli occhi. Soffici nuvole bianche migrano lentamente, e il loro candore rende quel blu ancora più penetrante. Le nuvole più in basso vanno verso ovest, quelle più in alto vanno verso est.

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And every skyline was like a kiss upon the lips…

Io, invece, non vado da nessuna parte. Non oggi. Oggi io sono qui nel mio giardino, sul mio lettino a dondolo, a godermi la brezza di un pomeriggio di Luglio come tanti altri, e a guardare questo cielo così grande, così blu e così bello da far quasi venire le lacrime agli occhi.

Quando d’estate andavo in vacanza nella casa al mare di famiglia, la sera mi sdraiavo sul terrazzo e stavo ore e ore a guardare le nuvole passare, il tempo cambiare, il cielo ricoprirsi e divenire bianco e grigio e poi di nuovo blu. Continua a leggere “Feelings are blue.”