Nothing is real

Oggi pomeriggio sono stata in centro a Torino con la mia amica Stefy. Abbiamo fatto una passeggiata e ci siamo fermate in un paio di negozi e bancarelle dove ho fatto degli acquisti molto interessanti (tra cui due penne stilografiche che mi sussurrano “scrivi, Anda… scrivi…” più di quanto non facciano già i miei due neuroni); lo scopo primario della nostra uscita, però, era visitare la mostra dal titolo “Nothing is real” allestita al MAO e dedicata alle influenze culturali, filosofiche, mistiche e sonore esercitate dall’Oriente (in particolare dall’India) sulla musica dei Beatles in particolare e, più in generale, su tutto quel filone psichedelico sviluppatosi a cavallo tra gli anni ’60 e gli anni ’70. La frase che dà il titolo alla mostra è tratta dalla celebre ed enigmatica canzone “Strawberry fields forever”.

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Ho trovato la mostra interessante, ma un po’ frammentaria. Avrei preferito un allestimento che mi calasse in quel periodo storico e in quel clima, magari coinvolgendo sensi differenti dalla vista. Fragranze orientaleggianti, incensi, luci psichedeliche, un sottofondo musicale. Nulla o quasi di tutto ciò, invece. Più che altro un excursus su alcuni pittoreschi aspetti di una parte della cultura e della controcultura di quegli anni. In ogni caso, piacevole per una persona già interessata e appassionata a musica e cultura del periodo. Mi ha senza dubbio riacceso una fascinazione, sopita da qualche tempo, esercitata da quegli straordinari anni così cruciali per musica e cultura.

Il mio spirito curioso e appassionato mi sussurra spesso all’orecchio che forse sono nata nel decennio sbagliato. O forse nel secolo sbagliato. O nel paese, o nel continente, o sul pianeta sbagliato. Forse nella galassia sbagliata.
Ci sono decenni e secoli e paesi vicini e lontani che mi chiamano per nome. A volte credo di sentirli prendermi per mano e correre via, veloci come solo il tempo inesorabile sa fare, e io dietro di loro.
Un’altra vita, un altro volto allo specchio, altre vesti sul mio corpo, altri gesti dalle mie mani, un’altra lingua nella mia testa e nella mia bocca, altre passioni nel mio cuore, un altro suolo sotto i miei piedi; lo stesso cielo sopra di me, a volte più giovane, altre più vecchio.
Mi piace cullarmi con questi pensieri.
Mi piace pensare di poter volare via in una grande cabina blu.
Mi piace l’idea di fuggire e l’idea di tornare.
Mi piace avere un concetto di casa un po’ più ampio del normale.
Mi piace sognare: preferisco farlo a occhi aperti, perché “living is easy with eyes closed“, e a me le cose facili non hanno mai fatto impazzire…

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